Espérance HakuzwimanaTutta intera

14+

Un romanzo d’esordio dalla vivezza rara, palpitante. Uno sguardo sul mondo completamente nuovo e urgente.

Il fiume Sele taglia in due la città, e Sara ogni giorno lo attraversa per andare nella scuola di Basilici. I suoi studenti arrivano da tutte le parti del mondo e la guardano con diffidenza. La chiamano Signorina Bellafonte, perché anche se è nera (come la maggior parte di loro) non è una di loro: è cresciuta di là dal fiume, suo zio è il guardiano del frutteto, e da quelle parti le pesche le chiamano «oro rosa», perché sfamano molte famiglie.

Sara è la figlia adottiva di un professore di liceo e della cuoca dell’asilo. Sua mamma preparava torte e coltivava rose, suo padre le ha insegnato la passione per le parole: il suo mondo da bambina aveva confini certi. Ora don Paolo le ha trovato questo lavoro, crede che lei sia la persona giusta. Giusta perché? Questi ragazzini, che conoscono tre lingue e ne inventano una diversa ogni pomeriggio, avranno pure il suo stesso colore di pelle ma la scrutano, la sfidano di continuo. All’inizio non riesce a ottenere la loro attenzione nemmeno per mezz’ora. Le parole non bastano piú, forse la strada per comunicare passa per certe esperienze difficili del passato: ogni volta che si è sentita diversa, nel posto sbagliato. Settimana dopo settimana quei nomi impronunciabili e quei volti sfuggenti diventano piú famigliari: Tajaeli Kolu che le assomiglia cosí tanto, Zakaria Laroui con l’occhio pigro e zero modestia, Paul Bonafede che è mezzo italiano e sembra vergognarsene. Ma poi scompare Charlie Dí, che stava sempre seduta al terzo banco, e intanto si moltiplicano le aggressioni nel quartiere: ecco che questo processo accidentato ma prodigioso di conoscenza reciproca rischia di interrompersi. Eppure certe vite spezzate e ricucite possono ancora, come certi innesti, trovare il modo di fiorire.

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L’autrice su «Il Libraio» racconta: La storia che ho scelto di raccontare porta con sé uno sguardo un po’ piú defilato dall’idea di trama pura, di intrattenimento. Una lettura un po’ piú sottile da riconoscere, in cui l’incontro con il prossimo diverso da noi diventa il perno, la base fondamentale da cui poter parlare di altro, molto altro. La contaminazione umana, i lati nascosti del razzismo, l’adozione internazionale, i pregiudizi difficili a morire e la mancanza di strumenti emotivi e socioculturali che ci aiuterebbero ad ampliare i nostri orizzonti, le nostre menti.

«Un bel romanzo d’esordio» (Valeria Parrella su «Grazia»).

«Tutta intera mette in discussione i confini interni della nazione contemporanea, offrendo la possibilità di incrociare le radici e le strade delle culture, componendo ciò che Jedlowski definisce “il palazzo labirintico di tutte le storie del mondo”» (Federica Zullo, «alias – il manifesto»).

Su «Il Corriere della Sera» l’intervista di Giulia Caminito all’autrice.

«Hakuzwimana scrive un romanzo essenziale che ci porta a riposizionarci nel mondo e nelle nostre consapevolezze. E quanto è importante, oggi, saper fare un passo a lato» (Federica Bassignana, «Il Foglio»).

«Hakuzwimana, con prosa limpida e sguardo vigile, ci tiene per mano accompagnandoci nella vita di Sara e dei suoi alunno, tutti di origini diverse, tutti pronti a prendere il mondo per le spalle e scrollarlo» (Mattia Insolia, «Domani»).

«Il romanzo ci spiazza e ci emoziona. Per la sincerità e la lacerazione interiore, per i passi incerti verso l’autoanalisi» (Maria Anna Patti, casalettori.com).

Espérance Hakuzwimana racconta Tutta intera a Fahrenheit.

L’autrice insieme a Vera Gheno al Circolo dei lettori di Torino: