«E se non saremo noi a vederla trionfare, e se non sarà da noi e avrà altri nomi forse, altri modi, chissà dove, duecento, trecento, mille anni, vedrete: la trionferà».
Essere comunisti a Cavriago voleva dire usare testa e mani per costruire tutti assieme il proprio cinema, la propria balera, il proprio futuro, in nome dell’emancipazione dell’umanità. Ma anche spedire un telegramma a Lenin e nominarlo sindaco onorario, scontrarsi coi cattolici per il film su Peppone e don Camillo, disperarsi per la morte di Stalin, servire lambrusco e rane fritte alla festa dell’Unità. Essere comunisti era prima di tutto un sentimento.
Sognatori e realisti, gente con la testa dura e un senso fortissimo di fratellanza, i protagonisti di questa storia sono donne e uomini dall’inesausta passione politica, cittadini del grande mondo, nelle cui vicende c’è tutta la forza e la persistenza, infine la nostalgia, di quello slancio ideale, folle e meraviglioso che li faceva sentire di essere dalla parte giusta del mondo.
Con «una dose di commozione, una di sarcasmo, una di pratico ed emiliano senso di disincanto», Massimo Zamboni ha spesso scritto e cantato la dissoluzione di quel tempo, ma qui ce lo spalanca di fronte agli occhi intatto e pieno di vita, di rabbia e struggimento, regalandoci l’epica di una memoria da cui ripartire, l’epica di una terra dove la bandiera rossa sventolava piú in alto di tutti.
Leggi un estratto.
«Zamboni racconta Cavriago, racconta un secolo, ma soprattutto racconta il comunismo emiliano, un impasto irripetibile di utopia e pragmatismo, epica e fatica, concretezza quotidiana e speranze rivoluzionarie» (Giovanni De Luna, «tuttolibri – La Stampa»).
«Un racconto corale in cui l’autore fa i conti con la grande utopia de Novecento» (Adriano Arati, «Gazzetta di Reggio»).
«Un libro ricco e denso di storie e fatti incredibili» (Fabio Dorigo, «Il Piccolo»).
Su «Rolling Stones» l’intervista all’autore.
Massimo Zamboni ha parlato del romanzo al programma di Radio3, Fahrenheit.
«Mi è venuto piú naturale scrivere che suonare, è una cosa che viene direttamente da dentro. Quella notte del 31 dicembre del 1991 quando finisce tutto, quando sul Cremlino viene ammainata la bandiera dell’Unione Sovietica e viene innalzata quella della Repubblica Russa. La commozione di quella sera è stata la molla per raccontare questo mondo che è andato ad estinguersi anche se ancora vive e batte in maniera sotterranea»: le parole dell’autore intervistato da Daria Bignardi.
Su Rainews Massimo Zamboni racconta il libro e il nuovo disco, due produzioni che hanno molto in comune: