Marwand è un dodicenne di origini afgane cresciuto negli Stati Uniti e in tutto e per tutto simile ai suoi coetanei americani. Ma quando la famiglia lo riporta nella terra degli antenati, di cui non parla la lingua ma a cui si sente indissolubilmente legato, per lui comincia l’avventura.
Sulle tracce del cane Budabash, che gli ha morso un dito ed è fuggito nella notte, Marwand e i suoi zii-cugini s’imbarcano in un viaggio picaresco ed esilarante, pieno di sorprese, pericoli e incontri. La presenza dell’esercito americano, dei talebani, e dei militari sovietici che li hanno preceduti trapela dall’eco delle bombe che esplodono fra le montagne, dalle voragini lasciate sui muri, ma soprattutto dai racconti sospesi tra mito e leggenda che ogni abitante della zona sembra custodire come un tesoro prezioso.
Il senso di vertigine che ne deriva ci avvicina al protagonista di questo romanzo di formazione a metà strada fra Le mille e una notte e Le avventure di Huckleberry Finn, e ci aiuta a vedere con i suoi occhi la terribile bellezza di quella terra, la complessità delle relazioni umane, la profondità delle tradizioni e della spiritualità. Senza perdere la magica capacità di farci sorridere a ogni pagina.
Leggi un estratto.
«Kochai intesse un arabesco di storie per mostrare l’altra faccia di un paese che è stato definito “la tomba degli imperi”. Nella voce, intrisa di spensierata comicità, di Marwand, ci ricorda che se trattiamo le storie con rispetto ci sarà piú facile rispettare anche le vite che quelle storie raccontano» («Time»).
«Un’avventura ingegnosa e avvincente, a tratti allegorica, nella voce autentica e potente di un ragazzo americano cresciuto all’ombra di antichi cantastorie afgani» («The New York Times Book Review»).
«Se la letteratura serve anche per portarci dentro il cuore delle cose, mostrandoci vite e culture altrimenti inconoscibili se non nella forma monca e assai ristretta di un servizio al telegiornale, Novantanove notti nel Lowgar assolve pienamente alla sua funzione» (Liborio Conca, «La Stampa»).
«Un fenomenale romanzo di debutto […] Una lettura straziante e un atto di memoria per un popolo dimenticato» (Mohammed Hanif, «Internazionale»).
«Jamil Jan Kochai riesce a proporre scorci indimenticabili, personaggi che nel reggere il peso degli stenti offrono un’umanità sempre in bilico tra illusione e delusione» (Maria Anna Patti, casalettori.com).
Sulla pagina Facebook di Einaudi editore un breve video ci racconta chi è Jamil Jan Kochai: