Liceo Giorgio Dal Piaz, Feltre (BL)
Classe: IV AS
Docente: Marta Bazzacco
Nessuno è senza nome
«Mio padre ha parlato rompendo il silenzio che aveva avvolto la grande sala. Gli ha chiesto di dirci perché piangeva in quel modo. E di dirci anche il suo nome, in modo che lo sapessero tutti i Feaci. Nessuno è senza nome, né il prode né il miserabile, perché nascendo i genitori lo danno subito ai loro figli, e sempre ci accompagna», cosí Nausicaa parla dello straniero, che scoprirà poi in seguito essere Ulisse, da poco giunto alla corte di Alcinoo nel saggio Ulisse – L’ultimo degli eroi di Giulio Guidorizzi. Il nome è, quindi, una parte importante della storia di un individuo, perché lo accompagna sin dai suoi primi passi.
Nonostante ciò, il nome resta completamente separato dalle altre caratteristiche di una persona, come spiegato da Circe e Lecuotea ne Le Streghe (da I dialoghi con Leucò) di Cesare Pavese: «Molti nomi mi diede Odisseo stando sul mio letto. Ogni volta era un nome. Dapprincipio fu come il grido della bestia, di un maiale o del lupo, ma lui stesso a poco a poco si accorse ch’eran sillabe di una sola parola. Mi ha chiamata coi nomi di tutte le dee, delle nostre sorelle, coi nomi della madre, delle cose della vita. Era come una lotta con me, con la sorte. Voleva chiamarmi, tenermi, farmi mortale. Voleva spezzare qualcosa. Intelligenza e coraggio ci mise – ne aveva – ma non seppe sorridere mai». Malgrado gli innumerevoli tentativi, Ulisse non riesce a rendere piú umana Circe cambiandole il nome; si evince dunque che ciò che la rende divina non è il suo nome, bensí qualcosa di piú profondo, che non può essere separato dalla sua persona in alcun modo. Leucotea aggiunge poi:«Li ho veduti i tuoi uomini. Fatti lupi o maiali, ruggiscono ancora come uomini interi. È uno strazio. Nella loro intelligenza sono ben rozzi»; l’essenza di un individuo sopravvive anche dopo radicali trasformazioni, come nel caso delle vittime di Circe.
Secondo noi un’ulteriore riflessione su questo tema è presente in Romeo e Giulietta, la famosissima tragedia di William Shakespeare, piú precisamente nella rinomata scena del balcone (Atto 2, Scena 2): Giulietta esorta Romeo a rinnegare il proprio nome, in modo da poter vivere il loro amore senza ripercussioni da parte delle rispettive famiglie, affermando poi:«What’s in a name? That which we call a rose/ By any other name would smell as sweet;/ So Romeo would, were he not Romeo call’d,/ Retain that dear perfection which he owes/ Without that title. Romeo, doff thy name,/ And for that name, which is no part of thee,/ Take all myself» («Cosa c’è in un nome? Il profumo di quella che chiamiamo rosa sarebbe ugualmente dolce se chiamassimo questa con un altro nome; e cosí Romeo manterrebbe la cara perfezione che ha, anche se non si chiamasse Romeo, senza quel titolo. Romeo rinnega il tuo nome, e per quel nome, che non è alcuna parte di te, prendi tutta me stessa»).
E cosí il passo sopracitato ci ha portato a ragionare sul nome: parte centrale dell’esistenza umana, qualcosa che ci identifica e che racchiude, spesso in una sola parola, tutta la nostra storia e le nostre esperienze; non può però sintetizzare la nostra essenza, ciò che ci rende davvero unici e umani, perché questa è legata alla nostra anima, la quale non è di certo esprimibile a parole.