Liceo Nomentano, Roma
Classi: IV I e III M
Docente: Silvia Vitucci
Cara Ida,
vorrei iniziare scusandomi per l’intrusione… Probabilmente non ho alcun diritto di disturbarti, dato che non faccio parte della tua vita e tu non sai neanche chi sono. La persona che scrive però ti conosce a fondo, talmente a fondo che ne rimarresti sorpresa. Non ti serve sapere perché, né come. Sappi solamente che ho vissuto con te questi ultimi giorni, e attraverso la tua memoria, buona parte della tua vita. Questo, forse, se non me ne dà il diritto, di sicuro mi fornisce gli elementi necessari per valutare le tue scelte. Se non vuoi ascoltarmi, va bene. Ti conosco abbastanza da sapere che non lo farai in ogni caso, come non lo hai mai fatto con tutti gli altri.
Chi sono gli altri? Quelli che c’erano, direi. Prima fra tutti, tua madre. Non voglio dire che non la ascoltassi, sarebbe un’accusa troppo diretta da rivolgere a una figlia. Forse però non le hai mai dato la possibilità di parlare. Forse lei non l’ha mai voluto. In ogni caso, se foste riuscite ad avere un dialogo come due persone mature, io non sarei qui a scrivere, giusto? Mi chiedo come due donne che hanno provato lo stesso dolore possano estraniarsi a tal punto l’una dall’altra. Siete diventate due bambole, marionette mosse dalla mano di un burattinaio impigrito. Non avevate piú la volontà di andare avanti, né tu né lei. Non sapevate dove cercare la forza per farlo, quando la risposta appariva cosí semplice e chiara a chiunque altro. Avreste dovuto guardarvi negli occhi e ammettere, ammettere di star male, di sentirvi perse senza la sua guida. Avreste trovato l’una nell’altra un conforto sufficiente a riempire il vuoto lasciato da quell’uomo. Non importa per cosa steste soffrendo, se per un morto, un padre e un marito scomparso, o un disgraziato che non ha avuto il coraggio, come voi, di affrontare la realtà. Avreste dovuto aprirvi, e piangere, e fare tutto ciò che una madre e una figlia hanno bisogno di fare quando la situazione peggiora, quando la vita si fa dura. Non ne siete state in grado, non è una colpa che posso imputare solo a te, lo so. Il passato è passato, ma quella donna si trova da sola dall’altra parte dello Stretto di Messina, e si sta chiedendo se sua figlia le vuole bene, nonostante tutto.
Poi c’è Sara. Lei è quella con cui hai fatto piú errori. Almeno con tua madre eri consapevole di non avere un buon rapporto; ma con Sara tu pensavi di condividere un’amicizia vera, quando invece lei non è stata altro che la tua psicologa, per anni. Alle amiche vere si può dire tutto. Forse per questo tu, per Sara, non sei stata un’amica vera: perché i tuoi problemi dovevano sempre sovrastare quelli di chiunque altro, persino i suoi. Lei sopportava, e sopportava. Poi però, quando si è trovata in difficoltà, non sei riuscita a fornirle il sostegno di cui aveva bisogno, quello che lei stessa ti aveva donato per tanti anni. Il vuoto che lasciò tuo padre quando eri bambina era comunque piú grande di quello lasciato nel suo grembo quando era solo un’adolescente. Puoi dire, in piena coscienza, di aver fatto tutto ciò che potevi fare, come amica, per evitare il distacco? Non credo. Sei una ragazza intelligente, sono sicura che te ne eri già resa conto. Spero di sembrarti invadente, cruda, e cattiva. Spero che piangerai, e ti renderai conto che se una sconosciuta è riuscita a giudicarti con tanto odio, Sara di certo non è stata da meno.
Tuo marito: lui è davvero una delle grandi incognite. Perché un uomo con una vita promettente ha deciso di passarla con la ragazza di tredici anni che venne abbandonata da piccola, e che ancora aspetta il ritorno di uno scomparso? Avrei voluto scrivere anche a Pietro. Mi sono trattenuta pensando che probabilmente avrebbe letto la lettera, ma poi l’avrebbe gettata via. Sai che è vero. Avrebbe ignorato e sopportato, come fa sempre. Lo conosciamo bene, io e te. Non ti avrebbe mai voluta turbare. In fondo, anche se non sa piú bene perché, lui ti ama davvero. Ma se avessi colto i segnali, quei piccoli indizi che ti ha lanciato nel corso degli anni, ti saresti accorta prima dei motivi del fallimento del vostro matrimonio. Avresti potuto ripagare quell’uomo di tanta fatica, donandogli la tua completa attenzione, invece di sognare di affogare nel mare in cui immagini giacere tuo padre. Ma non ti smentisci mai, non è cosí? Sempre dannatamente concentrata su te stessa, sempre chiusa nelle tue convinzioni, e da sempre alla ricerca dell’approvazione di un fantasma. Perché di questo si tratta, cara Ida: di un fantasma. Hai sempre dato ascolto a lui, prima che a tutti gli altri. Ci hai passeggiato sul lungomare e ci hai preso il caffé tutte le mattine. Al tuo matrimonio ti ha accompagnato lungo la navata, e quando prendesti il traghetto per la Calabria, anni fa, lui ti comprò il biglietto. Ti ha guidata, sempre, in ogni tua scelta. Non hai saputo combatterlo. Lo hai lasciato prendere il controllo, lui che neanche c’era, e hai perso tutti quelli che, al contrario, c’erano e tu non vedevi. Non so se buttare una scatola di latta nel mare ti aiuterà a guarire: tuo padre si è radicato a fondo nella tua mente. Di sicuro è un buon inizio. Mi auguro di non averti offesa troppo con questa lettera, sempre che tu l’abbia letta fino a questo punto. Se hai continuato a leggere, hai fatto piú progressi di quanto credessi. Spero semplicemente che trovi la felicità che tanto desideri nelle persone che hai intorno, non in quelle che ti hanno lasciata indietro. Non abbandonare la barca solo perché è un po’ traballante: sono sicura che, in fondo, a tuo padre non somigli affatto.
Ciao Anna,
è da un po’che non parliamo. Mi manca sentire la tua voce. Mi manca tanto di te a dir la verità. Forse mi manca anche come mi sentivo io quando eravamo insieme: felice. Non ho piú vissuto davvero dopo l’incidente. Le emozioni che provo ormai sono monotone e tristi. Ho continuato ininterrottamente a immaginare scenari in cui tu possa essere ancora viva, ma questo non ha fatto altro che rendere la realtà peggiore di quanto non sia. Pur di vederti ancora sarei disposto a sopportare la vista di te con un altro. Quei capelli neri e quella pelle bianca non credo che possano veramente appartenere a qualcuno: se cosí fosse, ora ti avrei accanto. Oppure saresti con Marcello, non so.
Siamo stati dei vigliacchi, noi due. Per salvare lui dal dolore abbiamo scelto di mettere da parte la nostra libertà, nascondendola in spiagge desolate e in momenti segreti. Non ho mai insistito eccessivamente sulla tua decisione di non dire niente a Marcello, anche se abbiamo avuto tante discussioni. Conoscevo la situazione in cui stava vivendo, era un mio amico dopotutto, e se fossi stato al tuo posto non so come mi sarei comportato. Se avessi davvero voluto dirglielo lo avrei fatto in prima persona, ma avevo troppa paura della sua reazione e anche della strada che avrebbe potuto prendere il nostro rapporto; magari ci saremmo sentiti troppo tranquilli: una relazione normale ci sarebbe potuta sembrare a lungo andare un’altra gabbia.
Non ho piú parlato con Marcello. Non sono nemmeno andato al tuo funerale per timore di vedere lui o qualcuno dei nostri amici: non sarei riuscito a guardarli negli occhi e fingere di non aver appena perso l’unica donna che abbia mai amato. Ho esaurito la voglia di mentire da quando la cruda verità si è rivelata ai miei occhi con la tua morte. Non ho mai avuto il potere di cambiare la realtà e non lo avrò mai. È inutile che mi illuda di avere un futuro migliore davanti a me. Non ho soldi per andare via da Messina, non ho nemmeno l’istruzione adatta. Dovrei rimanere con mio padre e guardare lo sguardo malinconico di mia madre, girata verso il mare.
Ma non posso. Una piccola parte di me vorrebbe, ma da sola non riesce a smuovere l’intero apparato. L’unico pensiero fisso sono i tuoi capelli neri, cosí simili all’oscurità che mi avvolge nel momento in cui chiudo gli occhi. È tranquillizzante, calma… è il luogo in cui mi rifugio quando la tua mancanza si fa insopportabile.
Voglio nascondermici ancora una volta. L’ultima.
A presto,
Nikos
Caro Nikos,
sembra strano da dire dal momento che le nostre strade si sono incontrate per cosí poco, però sento di doverti dire grazie.
La scomparsa di mio padre, quando ero poco piú che una bambina, ha sconvolto la mia vita. Quell’evento improvviso mi ha reso incapace di reagire o di immaginare un futuro; è come se la mia vita si fosse fermata alle 6:16 di quella funesta giornata. Mi sono sentita abbandonata da quell’uomo che avrebbe dovuto proteggermi e vedermi crescere. La sua assenza si è trasformata in una presenza ingombrante e, allo stesso tempo, in un pensiero ossessivo e, come se non bastasse, mi sono addossata la responsabilità del suo allontanamento. Un profondo senso di colpa mi ha accompagnata per piú di ventitré anni, da quando, a soli tredici anni, ho visto la mia famiglia andare in pezzi. Mi sono arresa al mio dolore, indifesa, davanti a una vita che non sapevo e forse non volevo affrontare. Schiava del mio dolore, che ritenevo piú grande di quello di chiunque altro, sono inconsapevolmente diventata cieca alle sofferenze altrui. Parlare con te, quella sera, alla casa del Puparo, mi ha aiutato ad aprire gli occhi, a comprendere che non esistevo solo io con la mia storia, seppur difficile. Intorno a me riesco, finalmente, a vedere ciò che fino a poco tempo fa non riuscivo neppure a immaginare. Ho imparato che ognuno ha un vissuto, che anche dietro a un sorriso può nascondersi un cuore inquieto.
Aveva ragione Sara quando mi diceva che non l’avevo «mai vista» davvero; che, focalizzata su me stessa, non avevo mai dato alla nostra amicizia l’importanza che meritava. So che ci siamo allontanate ormai e che le cose tra noi non torneranno come prima, ma, sai, mi piacerebbe ringraziarla un giorno, cosí come faccio con te, che mi hai aiutato a dire addio al fantasma di mio padre.
Ida
Caro papà,
sono passati ormai ventitré anni da quel giorno in cui te ne andasti e da allora di me è cresciuto solo il corpo. Da adolescente mi sono trasformata in una donna adulta, scrittrice e moglie di Pietro, ma la mia anima e la mia mente sono ancora ferme alle sei e sedici del giorno della tua scomparsa. Ho vissuto reputandomi responsabile di quanto accaduto. Mamma, dal giorno in cui cadesti in depressione si è sobbarcata il peso della nostra famiglia e della casa, allungando i tempi del suo lavoro e incaricandomi della tua custodia. Ho sempre ritenuto che te ne fossi andato perché non ero stata all’altezza del mio compito. E un pensiero mi ha sempre assillato: che un giorno, come te, anche mamma se ne sarebbe andata. È per questo che della nostra casa tengo solamente alla scatola rossa dove ho riposto la tua pipa e la cassetta che la mamma mi ha regalato per il mio undicesimo compleanno. Dovevo ritornare a Messina e conoscere Nikos e la sua dolorosa esperienza legata alla morte della sua Anna per uscire da questo mio limbo. Il tuo corpo non lo abbiamo mai seppellito perché non l’abbiamo mai trovato. Non so neanche se tu sia morto, ma la mia anima e la mia mente sono rinate il giorno in cui ho seppellito la scatola rossa nel mare a Messina. Quella oggi è la mia casa e il mio orologio segna le sei e diciassette.
Ciao, papà.
Tua figlia Ida
Cara Anna,
ti sto scrivendo questa lettera anche se non potrai leggerla, ma spero che le parole possano scivolare via dal foglio e raggiungerti, in qualunque posto tu sia. Il mio nome è Ida, ti ho conosciuta attraverso il racconto straziante della tua scomparsa da parte di Nikos. Ho avuto pochissimo tempo per conoscerlo, ma grazie a lui e alla vostra storia sono riuscita a lasciar andare un peso che per ventisei anni ha gravato sulle mie spalle. In questo momento vi immagino insieme su quella spiaggia: tu che esci sorridente dall’acqua e lui, fiero e innamorato, ti abbraccia senza lasciarti piú andare. Ecco, questo è il paradiso che immagino per voi, ammesso che ne esista uno. Nonostante l’addio di Nikos a questo mondo che doveva sembrargli ingiusto senza te, sono sicura che ora lui sia felice, e che tu, l’amore della sua vita, gli sia accanto mentre queste mie misere parole si librano nell’aria alla ricerca di due destinatari fantasma. Nikos prima di raggiungerti ha voluto affidare a me la vostra storia, l’ha riposta nelle mani di una custode sconosciuta di cui forse ha intravisto il dolore della perdita che li accomunava; pur non avendomelo detto, ho percepito quest’ultima disperata richiesta provenire dal suo cuore martoriato, distrutto dalla tua perdita e ho deciso di occuparmi di questo compito. Sai Anna, nel tragitto per tornare alla città eterna vi ho visto: mentre attraversavo lo stretto di Messina, sul traghetto, ho notato due corpi che danzavano sull’acqua, quell’acqua che tanto mi spaventava al solo pensiero di potervici scorgere ill volto di mio padre. Ho capito solo da poco che i ricordi sono ciò che ci lega a chi non c’è piú: io il corpo di mio padre non l’ho mai avuto, non ho potuto piangere su nessuna bara e nessuna lapide, perchè il funerale non c’è stato. Lui è semplicemente andato via. Ha ingannato la morte e ha ingannato me e mia madre, ha lasciato un vuoto talmente profondo che ci ha tenute incatenate al passato per cosí tanto tempo. In assenza di un corpo mi sono aggrappata ai ricordi dolorosi e confusi che testimoniavano il suo passaggio su questa terra; ricordi che, per la bambina rimasta impigliata alle sei e sedici del giorno in cui il padre ha deciso di abbandonare la vita di sempre, non si possono dimenticare. Non avevo neanche il coraggio di pronunciare il suo nome, cara Anna: Sebastiano Laquidara era il fantasma che infestava i miei sogni, che mi impediva inconsapevolmente di vivere la mia vita. Ho capito che a volte i ricordi possono farti affondare, e grazie a voi e alla vostra storia, sono riuscita a far scivolare sul fondo del mare il corpo ingombrante di mio padre che mi portavo dietro da ormai troppi anni. Grazie a voi sono riuscita finalmente a dirgli addio. Addio Anna, addio Nikos.
Ida
Caro papà,
non so perché ti sto scrivendo questa lettera, so che non la riceverai mai, perchè non saprei neanche chi indicare come destinatario. Forse lo faccio per me, per cercare di non sentirmi in colpa per non averti cercato abbastanza, o forse per convincermi che ormai il tuo pensiero non mi tormenta piú. Magari fosse cosi. Ho buttato tutto quello che avevo conservato di te nello Stretto, come se quei pochi metri d’acqua potessero nascondere quella sofferenza. Ma questa scelta ha soltanto peggiorato la situazione. Ora ogni volta che guardo il mare mi sembra di rivederla, la scatola di metallo rossa, una volta sul fondale, una volta riportata sulla riva della corrente, una volta sotto il mio ombrellone. L’unica cosa che riesce a darmi conforto è il rapporto con Pietro, ormai non è solo mio marito, è tutto: amico, fratello, padre, addirittura nonna a cui raccontare i sogni. Queste parole non ti arriveranno mai, ma spero tu ti sia reso conto della sofferenza che mi hai fatto provare, spero tu capisca cosa hai fatto.
Ida
Messina, 2 novembre
Ai morti
Ciao, è da tanto tempo che avevo intenzione di parlarvi, di scrivervi. Da quando? Tanto tempo. Di recente mi sono resa conto che voi siete solo giudici gelosi di tutte le azioni che non potete piú fare, degli errori che non potete piú commettere, dei divertimenti dei sopravvissuti.
Ciononostante non ho ancora capito una cosa. Cosa ne avete fatto di papà? Fa parte di voi? Due anni fa è scomparso e io e mamma non abbiamo piú notizie di lui e da quel momento mi sono sempre chiesta dove sia…
Comincio a pensare che siete stati voi: cosí invidiosi della vita terrena da trascinare un padre di famiglia con voi, nell’aldilà, strappandolo alla sua famiglia e soprattutto senza alcuna possibilità di salvarlo, senza poterlo aiutare.
Oggi 2 novembre non troverete affatto pane e latte, non lo meritate. Avrete solo questa lettera, cosicché anche voi sappiate cosa si prova qui sotto.
Ida
P.S. Spero solo che mamma non la legga.