Dicono che per scrivere un ottimo libro sia fondamentale avere un eroe coraggioso, pieno di complessità, desideri, mancanze. E poi metterlo in pericolo, fargli superare le peggiori battaglie, le piú grandi difficoltà, i piú terribili nemici.
Lungo le pagine l’eroe deve lottare e crescere, non nel senso di invecchiare, ma nel senso di cambiare. Trasformarsi. Cercare di colmare i suoi vuoti e realizzare i suoi desideri.
Beh, l’adolescenza è proprio questo. È un atto di eroismo, un viaggio in terre ignote e pericolose, in cui si affronta un nemico tremendo: quella parte di sé che il ragazzo ancora non conosce e che spinge per emergere. È una trasformazione lacerante. È la crisalide che mette le ali e diventa farfalla.
La metafora degli insetti e della loro mutazione percorre tutto il primo libro che vorrei consigliarvi: Storia naturale di una famiglia di Ester Armanino.
Il romanzo ci porta dritti, in prima persona, nel punto di vista della quindicenne Bianca, che guarda il mondo con il distacco di uno scienziato che scruta ogni cosa attraverso un microscopio. Osserva i cambiamenti degli altri, in particolare dei membri della sua famiglia: il padre che si allontana inseguendo il sogno di altre donne e altre vite, la madre che deve reinventarsi, il fratello che sfugge da tutti quanti loro. Sono cambiamenti violenti, strappi anche tragici di fronte ai quali Bianca cerca stoicamente di resistere.
Vogliono crescere, devono farlo per sopravvivere. La rigidità del loro corpo non permette alternative. Devono rompersi in due, partorire un corpo nuovo. Diventare corrosivi e lacerare quello vecchio. Dilaniarlo. Uscirne fuori e aspettare di avercela fatta. Un taglio dopo l’altro. Una muta per ogni fase della vita. Molti insetti crescono cosí. È successo anche a mia madre.
Bianca vede le persone intorno liberarsi della vecchia pelle per diventare altro, ma lei non ci riesce, imprigionata in un bozzolo di distacco fino a quando la vita non la costringe alla sua personale metamorfosi. E lo fa in modo brutale, perché la natura agisce e basta, calpesta ciò che trova sulla strada. E allora Bianca non potrà piú restare ferma a guardare da fuori, dovrà mutare anche lei.
Storia naturale di una famiglia racconta questa mutazione con immagini potenti e con una scrittura chirurgica come lo sguardo di Bianca, ma non per questo fredda. Al contrario, è un libro profondo e toccante.
Anche i ragazzini protagonisti di Quel fantastico peggior anno della mia vita di Jesse Andrews devono affrontare la durezza del mondo dei grandi. Anzi, è quel mondo che fa irruzione nella loro adolescenza.
Greg, ragazzo bianco un po’ nerd e tutto sommato benestante, ha un fraterno amico nel nero, povero, volgare Earl. Si vogliono bene eppure si odiano, stanno sempre insieme e si prendono a botte, litigano ma condividono una grande passione: il cinema. Greg ed Earl sono registi dilettanti con un’assurda fissazione per un film del 1972, Aguirre la furia di Dio.
La vita con le sue peggiori complicazioni irrompe nelle loro esistenze assumendo le sembianze di Rachel, che ha una peculiare caratteristica di cui, fino a quel momento, Greg ed Earl hanno sentito parlare solo nei film. Rachel è malata di leucemia.
Questi due soggetti strampalati si trovano a doverle stare vicino, mentre Rachel si avvia alla fine della vita. E lo fanno in modo confuso e pasticciato, egoista e insieme generoso.
Io sono Greg, quello che ha scritto questo libro. Poi c’è Earl, il mio amico. E questa è la storia dell’anno che lui e io abbiamo passato con Rachel cercando di tirarla su. Per lei abbiamo girato un film. Forse il piú brutto film di tutti i tempi.
È un libro che fa ridere, tanto, ma senza essere sciocco, che è toccante senza essere patetico, che è tenero senza essere melenso. Quando l’ho letto ho pensato «vorrei averlo scritto io», ma è stato un pensiero inutile, non ne sarei mai stato capace, l’ironia è un dono di pochi scrittori.
Niccolò Ammaniti, per esempio, di ironia ne ha sempre usata molta.
E ha pure scritto molti libri di enorme successo incentrati su storie di ragazzi: penso a Ti prendo e ti porto via, Io e te, Come Dio comanda. Romanzi percorsi da un’ironia a volte travolgente, spesso amara.
Il suo ultimo romanzo Anna, però, è un libro diverso, piú cupo e fantastico, che ci porta in un’Italia devastata da un’Apocalisse che ha colpito il mondo intero. Ci ritroviamo cosí in una Sicilia che ricorda gli scenari di film e serie televisive come Mad Max e The Walking Dead. Sí, perché in questo romanzo il mondo che conosciamo non esiste piú, sconvolto dalla catastrofe di una malattia, «la Rossa», misterioso virus che uccide i grandi e lascia vivere solo bambini e ragazzi.
Fino a quando, crescendo, moriranno anche loro. Quanto resta dell’umanità, dunque, sono adolescenti che hanno perduto ogni guida e ogni regola, costruendone di nuove. O cancellandole per sempre.
La Sicilia del romanzo di Ammaniti è una versione ingigantita dell’isola del «Signore delle Mosche» e Anna è l’indimenticabile e silenziosa eroina del libro, ragazza rimasta orfana che vive semi-barricata nella villa di famiglia insieme al fratellino Astor. Ma quando il piccolo viene rapito da una banda di adolescenti cacciatori di bambini, Anna deve uscire allo scoperto e affrontare ciò che resta del mondo.
Guidata solo da un quaderno di istruzioni lasciato dalla madre prima di morire, accompagnata da un cane gigantesco che l’ha quasi sbranata e ora la difende, Anna parte alla ricerca di Astor e, insieme, di una disperata, favoleggiata, (probabilmente) impossibile cura per la malattia.
Anna è un libro breve che, però, ti resta dentro grazie alla sua protagonista ruvida, disperata e coraggiosa, ragazzina che non resta ferma ad aspettare la fine, ma sceglie di lottare per ciò che è rimasto: la salvezza di suo fratello, il desiderio d’amore, la speranza di salvare sé stessa e chi è con lei.
Anna, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri di questo pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere. Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne. Bisogna andare avanti, senza guardarsi indietro, perché l’energia che ci pervade non possiamo controllarla, e anche disperati, menomati, ciechi continuiamo a nutrirci, a dormire, a nuotare contrastando il gorgo che ci tira giú.
Le tracce di un’altra Anna ci portano a un libro piú che famoso. Il Diario di Anne Frank è uno dei testi piú letti, tradotti, studiati, adottati nelle scuole. Anche qui troviamo al centro della storia una casa e una malattia che colpisce il mondo intero, un virus letale chiamato nazismo.
La storia è nota: Anne si confessa con il suo diario, cui attribuisce il nome dell’amica immaginaria Kitty. A Kitty racconta la sua vita prima e, soprattutto, dopo la scelta della famiglia di nascondersi ai nazisti. I Frank, ebrei tedeschi rifugiatisi ad Amsterdam per sfuggire alla cattura, capiscono di essere di nuovo in pericolo e mettono in atto il piano architettato dal padre Otto: nascondersi nel retro del palazzo che ospita la ditta di famiglia. Con loro ci sono la famiglia Van Daan con il figlio Peter e il signor Dussel, medico con cui la piccola Anne deve condividere la stanza a lei assegnata.
Il libro racconta i due lunghi anni di prigionia dentro il Rifugio Segreto, la casa bunker dove i genitori di Anne e sua sorella Margot, la famiglia Van Daan e il signor Dussel cercano la salvezza evitando qualsiasi contatto con il mondo esterno. Purtroppo per quasi tutti loro, il nascondiglio non basterà a salvarli e il cieco odio nazista li travolgerà.
Ma il Diario di Anne Frank non è solo un eterno monito contro l’orrore hitleriano e la tragedia della guerra. Il libro è anche – forse è soprattutto – la storia di una ragazza di 13 anni che cresce e cambia, entrando in aperto conflitto coi genitori. Un conflitto esasperato dalle dimensioni della casa–prigione, che costringe tutti a una forzata e difficile convivenza.
Anne si scontra con la mamma, in cui vede la donna che lei non vuole essere, priva di orizzonti e ambizioni, chiusa mentalmente quanto lei è aperta e desiderosa di emanciparsi. Ma anche con il padre amatissimo, Otto, da cui Anne si allontana anche per via dell’amicizia e poi dell’amore che nasce con Peter, recluso come lei nel Rifugio Segreto. Un amore che nasce, esplode e si sgretola, potente e insieme fragile come sono i sentimenti di ogni adolescenza.
Imprigionata in poche stanze buie e con le finestre tappate, distante dal mondo che vive a pochi metri da lei, Anne Frank non smette mai di scrivere, sperare, lottare, ridere, amare.
L’adolescenza è l’arma che le permette di pensare alla morte e alla tragedia del mondo e, un attimo dopo, di scrivere delle liti con i suoi genitori, dell’affetto per la sorella Margot, delle foto di luoghi da favola e di attori che incolla sulla tappezzeria accanto al letto, dei palpiti di un amore confuso. Con la forza dell’adolescenza, mentre tutto crolla, Anne insiste a sognare un mondo migliore e una vita da donna libera e felice. Una vita che vorrebbe costruire con i libri e la scrittura verso i quali il Diario è una lunga lettera d’amore.
Chi non scrive non sa quanto sia bello scrivere; in passato, rimpiangevo sempre di non sapere disegnare, ma ora sono felicissima di saper almeno scrivere. E se non avrò ingegno abbastanza per fare la scrittrice o la giornalista, ebbene, potrò sempre scrivere per me sola. Voglio farmi avanti, non posso pensare di vivere come mamma, la signora Van Daan e tutte quelle donne che fanno il loro lavoro e poi sono dimenticate. Debbo avere qualcosa a cui dedicarmi, oltre al marito e ai figli! Voglio continuare a vivere dopo la mia morte!
Ed è quello che Anne ha fatto, con le sue parole.