Anna Dellaferrera (Torino)
Compleanno di una bimba di 2 anni. Tra i regali delle tante fate madrine compare una maglietta rosa con una scritta che dice cosí: Quando sarò grande incontrerò un principe. Sí, la taglia è quella giusta, grazie, le va bene di sicuro. Un piccolo campanello d’allarme si perde tra i giochi, il frastuono e le candeline sulla torta. Dopo i giri in altalena, gli auguri e i baci, la maglietta rosa mostra di avere anche una scritta sulla schiena: ma il re del mio cuore rimarrà sempre il mio papà. Un senso di fastidio e il campanello diventa piú insistente. Ancora l’identificazione tra bambine e principesse. Nonostante Simone De Beauvoir e i tentativi di ribaltamento da parte di Fiona e Shrek, le principesse classiche non sono ancora finite in soffitta con l’etichetta «modelli femminili arcaici» e con una bambina di 2 anni non posso fare finta che lo siano. In piú la persona che gliel’ha regalata con tanto affetto – una donna – sembra del tutto inconsapevole del peso di quelle frasi.
Poco tempo dopo arriva un regalo per me, un oggetto azzurro, altrettanto piccolo e apparentemente innocuo ma con un sottotitolo che lascia pochi dubbi: Cara Ijeawele. Ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista. La persona che me lo regala – un uomo – sa quanto io abbia amato Americanah, della stessa Chimamanda Ngozi Adichie. Non sa però che quella sarebbe stata la risposta alla maglietta rosa e a tutto quello che rappresenta.
Quei quindici capitoletti indirizzati in forma di lettera all’amica dell’autrice, diventata da poco mamma di una bambina, sono infatti un pratico setaccio in cui far passare tutte le esperienze che ci hanno fatto diventare le persone che siamo oggi e che diventeremo: attraverso le parole di Adichie si corre il rischio di trovarsi in mano dei sassi piú o meno grandi che si osservano con rabbia, alcuni provocano dolore e altri si possono guardare alla fine con tenerezza. Vergogna, desiderio, donne-oggetto, educazione all’amore, femminismo, ruoli di genere, parità, indipendenza economica, molestia, demansionamento, violenza. È qualcosa che si può fare, con questo libro, misurarsi con queste parole per sapere con precisione che rapporto abbiamo con ognuna di esse, quale parte di eredità dell’educazione patriarcale ci è toccata in sorte e come l’abbiamo affrontata e integrata nel nostro essere persone adulte.
Tra i sassi ritrovati nel setaccio durante la lettura di questo libro ho rivisto la mia insegnante di Italiano del liceo, quella che mi ha fatto leggere per la prima volta i trovatori provenzali e King Lear, che un giorno esordí dicendo «meraviglioso l’amore e tutto il resto, ragazze, ma se proprio decidete di sposarvi, mi raccomando tenete i conti separati». Non capii subito perché si stesse rivolgendo, per una volta, soltanto alle ragazze della classe e perché ci parlasse, a margine dei suoi poeti, di qualcosa di cosí pratico come l’economia.
Nel libro di Adichie si trovano frasi cosí: «Le donne, in realtà, non hanno bisogno di essere difese e onorate; hanno solo bisogno di essere trattate alla pari come esseri umani». C’è una sfumatura di paternalismo nell’idea che le donne debbano essere «onorate e difese» perché sono donne. Mi fa pensare alla cavalleria, e il presupposto della cavalleria è la debolezza femminile.
Leggo e ripesco dal fondo del cassetto la maglietta rosa del compleanno. Il filtro funziona e dopo la lettura-setaccio mi ritrovo in mano il significato esplicito di quella scritta sullo sfondo rosa confetto: cresci principessa e passerai direttamente dalle decisioni del padre a quelle del marito, senza passare dalla casella dell’autonomia, non prevista nel gioco dell’oca del diventare grandi.
Adichie non vuole fare discorsi complicati sul femminismo ma parte da consigli talmente concreti da risultare spiazzanti, perché a volte si vorrebbe far finta di non aver piú bisogno di frasi del genere: «Non dire mai a tua figlia che deve fare una cosa o che non la deve fare “perché sei una femmina”. “Perché sei una femmina” non è mai una buona ragione. In nessun caso».
Questo piccolo libro azzurro, semplice e molto denso allo stesso tempo, si può leggere e rileggere, nell’ordine che si preferisce, mescolando i capitoli e ricominciando da capo perché insegna in definitiva a esprimere il proprio pensiero, anche urlando se necessario.
«Anziché insegnare a Chizalum a compiacere gli altri, insegnale a essere onesta. E gentile. E coraggiosa. Incoraggiala a essere franca, a dire quel che pensa davvero, a dire la verità. Esortala a difendere quel che è suo. Dille che se qualcosa la mette a disagio deve alzare la voce, deve esprimersi, deve urlare».
Con la decisione di parlare nel dettaglio della sua educazione in Nigeria, Adichie rende la sua lettera universale. Nigeria o Piemonte negli anni ’80 e ’90, il modo di affrontare l’educazione (sessuale e non) sotto forma di inibizione non era molto diverso. Sottolinea dunque la necessità di essere tutti femministi, secondo una sua frase ormai celebre «We should all be feminists», in ogni Paese. Anche – aggiungo io – nei Paesi in cui si crede di esserlo già oltre il necessario e ci si sente piú moderni di altri. Questo libro sa anche essere tagliente come un rasoio nel momento in cui mette in guardia dal «femminismo light», l’idea di un’uguaglianza femminile condizionata, perché, spiega bene Adichie «essere femminista è come essere incinta. O lo sei o non lo sei. O credi nella piena uguaglianza fra uomini e donne, o non ci credi».
C’è però qualcosa che credo sia necessario mettere a fuoco nel sottotitolo, perché certamente si tratta di una lettera indirizzata a chi voglia crescere una bambina femminista e sono convinta che vada regalato a tutte le mamme, ma questo libro è anche molto di piú. È un libro per le mamme e per i papà e può anche essere molto utile a tutte le persone che si occupano di accompagnare nella crescita altri esseri umani.
Ma siamo proprio sicuri che sia solo per gli adulti? Selezionando alcuni capitoli penso che questo libro possa essere letto a scuola e credo che le ragazze e i ragazzi apprezzeranno il modo diretto con cui Adichie si interessa a loro (la mia insegnante del liceo – ne sono sicura – approverebbe).
P.S. La maglietta non è stata buttata. Tornerà tra le mani della bambina tra qualche anno, insieme a questo libro.
Anna Dellaferrera insegna nella scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri di Volpiano (TO).