Spesso fanno la loro comparsa in copertina, ritratti e fotografati, in posa oppure no, e sono balene con giusto la pinna caudale fuori dall’acqua, cani dagli occhi luminescenti, farfalle su pistilli gialli, tigri che zompano nella neve o grandi uccelli dalle ali favolosamente spiegate.
Trovarli in un libro è per metà catturarli e per metà affievolire la nostalgia di un tempo in cui eravamo piú insieme di adesso. Hanno poteri magici, sono mostruosi ma pure attraenti. Si stagliano sulla figura umana, sinuosi e fantasmagorici, ben piú vivi di quelli di pezza. Sono addomesticati e adorati. A branchi o da soli, compagni del nostro tentato ritorno al regno animale o evidenze di una distanza irrecuperabile, scandiscono la distanza tra noi e la natura. Attraverso di loro conosciamo i nostri sensi di colpa, i pentimenti. Davanti a loro abbiamo paura, davanti a loro non nascondiamo le lacrime. Gli animali sono sempre presenze complici e stregonesche che a volte ci atterriscono, ma che intanto prendiamo per mano per arrivare da qui a là.
La tigre di John Vaillant è una bestia ferocissima che ha fatto a pezzi un uomo e ora l’intera comunità dell’estremo oriente è a rischio. Inizia dunque la caccia. Chiunque, armato o meno, che venisse puntato dal grosso felino, sarebbe spacciato. La stazza e la pericolosità vanno a braccetto con la sua famelicità. L’unico a poterla catturare è un veterano dell’esercito sovietico ora a capo dell’Ispettorato Tigre. Il libro segue le tracce lasciate sulla neve, nella foresta e nella tundra siberiana, dalla belva e dall’uomo che le corre dietro nei giorni e nelle notti piú fredde e rischiose che entrambi abbiano mai vissuto.
Forma originarie della paura del tedesco Marcel Beyer è la storia di Hermann Funk che dopo aver assistito neanche ragazzino al bombardamento su Dresda che bruciò l’intera città, che gli portò via tutt’e due i genitori, e che gli mise davanti agli occhi l’immagine di tutti gli animali dello zoo atterriti e in fuga, appena scampati all’agguato aereo (forse, ricorda, c’era anche una scimmia ferita portata via in braccio da un’altra scimmia), decide di dedicare tutta la sua vita all’ornitologia e di diventare uno studioso di fama internazionale.
C’è uno zoo anche nel terzo libro di questa breve rassegna, ma è uno zoo senza gabbie, dove non si vede un recinto, un muro e in cui l’unico custode è Matteo Sturani, naturalista come prima di lui già il nonno e poi il padre. È lui il curatore della meravigliosa antologia Pietre, piume e insetti. Qui c’è il geco di Calvino, ci sono le seppie e i granchi di Durrell, c’è la torma di volatili di Franzen, ci sono i ranocchi di Primo Levi, i bromboli di Meneghello, c’è Nabokov con le sue farfalle. Un rendez-vouz intimo e selvatico tra i maggiori scrittori del Novecento e gli animali, tutti, nessuna eccezione, senza guinzaglio.
Alla fine della fiera pare proprio che gli animali stiano nei libri davvero gran volentieri. Chissà, forse persino piú a loro agio di quanto non capiti agli uomini.