Dai boschi di Taranto al gelo dei campi di prigionia tedeschi, Mario Desiati, vincitore del Premio Strega 2022, torna con un grande romanzo che indaga il rapporto tra l’individuo e le sue radici, il trauma e la vergogna, interrogando con coraggio il rimosso collettivo del nostro Paese.
Marco Petrovici ha quarant’anni e vive a Berlino, quando all’improvviso, un giorno, inizia a svenire. Per scoprire l’origine di questi suoi disturbi e ritrovare un po’ di pace, decide di tornare in Puglia, dai genitori ormai anziani che vivono immersi in un bosco di querce e lecci nella campagna tarantina. Schiacciato dai sensi di colpa per non essere il figlio che Use e Tonia speravano, si ferma nella casa di famiglia per occuparsi di loro, ma allo stesso tempo si convince che le cause del suo malessere vadano cercate nella memoria sepolta di quel loro cognome cosí strano. A partire da un ricordo d’infanzia dai contorni fumosi – un balordo un po’ troppo famigliare che suona il violino sotto la neve di Taranto –, con l’aiuto di zia Ada, della letteratura e della storiografia, della psicoterapia e di un diario ritrovato non per caso, Marco cura il «malbianco» che opprime la sua famiglia. Facendosi largo tra reticenza e continue omissioni, scopre la vita segreta della bisnonna Addolorata, trovatella e asinaia, e ricostruisce le vicende di nonno Demetrio e di suo fratello Vladimiro, entrambi reduci di guerra, una guerra combattuta e patita in modi molto diversi. Chi sono davvero i Petrovici? Da dove arrivano? E cosa c’entra con loro un’antica ninna nanna yiddish che inconsapevolmente si tramandano da quasi cent’anni?
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«A un romanzo che, dopo averlo letto, scelgo di custodire sui ripiani sempre piú stipati della mia libreria chiedo almeno una di queste virtú: che sia scritto molto bene, che racconti una storia che mi appassiona, e che questa sia intima ma universale. Malbianco di Mario Desiati le possiede tutt’e tre» (Vittorio Lingiardi, «la Repubblica»).
«Desiati è uno scrittore di carte scoperte, di cose da rivelarsi sempre e comunque, indipendentemente dalla loro stranezza o sconvenienza. Nei suoi romanzi i segreti non esistono, e se esistono non durano, e se durano sono veleno, bisogna allontanarsene, salvarsi» (Nicola H. Cosentino, «Corriere della Sera»).
«Una storia di famiglia in cui ovviamente tu, lettore o lettrice, non c’entri nulla perché non è la tua, ma che a un certo punto del libro ti chiama dentro, prova a dirti che, guarda, potrebbe essere anche la tua, di storia. E forse lo è» (Elena Loewenthal, «tuttolibri – La Stampa»).
«Un romanzo bellissimo […] Desiati, attraverso i suoi personaggi, intraprende questo viaggio à rebours con tenerezza e pudore facendoci scoprire una famiglia incredibile e piena di misteri. Il romanzo è una cornucopia di storie e paesaggi sepolti nella memoria che tornano a vivere grazie all’incanto della scrittura» (Serena Dandini, «Io Donna»).
«Il romanzo ha due velocità, quella dell’asino e quella delle rondini. C’è grande dolcezza e capacità di carico, tipici dell’animale che non ascolta con le grandi orecchie ma con i dolcissimi occhi; e poi c’è la velocità nervosa, rotta e dura, a tratti amara, degli uccelli dal volo acrobatico nelle fughe che intrecciano traiettorie aeree » (Luca Mastrantonio, «7 – Corriere della Sera»).
«Il protagonista di questo romanzo, che cosa ha in comune con me? I tentennamenti, la tenerezza, l’avventatezza, il corpo che gli dice che deve essere piú coraggioso per smettere di tremare», ha scritto Chiara Valerio su Instagram.
«Un romanzo storico e psicologico di rilievo. […] Un esemplare ritratto individuale e collettivo che spazia dalla Puglia e dall’Italia all’Europa, coniugando geografia e storia, prospettive professionali e sentimentali, nel tenace tentativo di uscire dalle gabbie esistenziali della vita “agra” di Bianciardi e della “mediocrità” di Flaiano» (Gino Ruozzi, «Domenica – Il Sole 24 Ore»).
«Mario Desiati scrive un romanzo potente dove tutto converge verso un’epica senza esclusioni di colpi tra i non detti di una famiglia e la libertà del virgulto piú sensibile» (Marina Valensise, «Il Messaggero»).
L’autore racconta il romanzo al TG3.