Se esiste un pensiero e un inconsapevole istinto delle donne per gli spazi, unito a una incisiva capacità d’azione, dovrà presto farsi largo e prendere forma. Le città ne hanno un disperato bisogno.
Non potendo costruire hanno scritto. Di case, di città, di quartieri in trasformazione. Tenute lontane dall’architettura si sono dedicate alla fotografia, trovando mille modi per raccontare le persone e gli spazi della città. Escluse dalla pianificazione urbanistica si sono dedicate alla scala minuta, granulare, del design dell’abitare e della vita quotidiana, progettando spazi di prossimità e di benessere. Sono state piú giardiniere che progettiste, piú pedagogiste che ingegnere. Quando hanno potuto hanno generato pensiero e visioni lungimiranti, presto dimenticate; hanno osservato da vicino le città – nelle loro pratiche quotidiane – con il distacco che solo chi è escluso dai giochi può avere.
Le donne, in forme varie e sempre eclettiche, hanno maturato un pensiero pratico sulla città che oggi non possiamo trascurare e di cui peraltro loro stesse non sono ancora pienamente consapevoli. Oggi che dobbiamo ripensare la relazione tra spazi e vita, tra tempi quotidiani e aspettative di benessere, tra natura e città, la prospettiva da cui guardano il mondo appare cruciale.
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«Il sistema, sinora gestito da uomini, prevale sulla persona. Ma la freschezza delle donne, il loro arrivare da outsider le mette nella condizione di poter rivoluzionarlo. Ci vuole coraggio: per prendere la parola, e mantenersi coerenti alla missione di rendere accoglienti gli spazi, civile la società, abitabile la città. Come si fa con la propria casa», racconta Elena Granata su «Avvenire».
Su Biancamano2 l’intervista di Giulia Priore all’autrice.
Elena Granata ospite alla trasmissione di Rai3, Geo: