Evelina SantangeloI pensieri arditi di Michela Murgia

Ci sono libri che per un autore e un’autrice sono fulcri in cui si concentrano riflessioni e intuizioni che alimenteranno il pensiero successivo. Il saggio narrativo Futuro interiore edito da Einaudi nel 2016 ha una tale centralità nella produzione di Michela Murgia. Forse per questo era cosí contenta quando le telefonai per dirle quanto lo avessi apprezzato, considerandolo un’opera fondativa, una svolta, l’inaugurazione di quello che sarebbe diventato un percorso i cui temi erano già tutti presenti in embrione tra le pagine di questo libro piccolo ma ad alta concentrazione di senso e immaginazione, perché i pensieri piú arditi emanano da lí, dall’immaginazione appunto.

Ci sono domande cruciali sottese alle pagine di Futuro interiore, e per ogni domanda ci sono vie percorribili, e le vie passano attraverso le parole, i modi di nominare cose e relazioni che modellano comportamenti (un concetto molto caro a Michela): Appartenenza come libera scelta versus Identità dominata dallo ius sanguinis e loci, che sclerotizza le società; dissenso e disordine come dinamica democratica versus ordine totale; via femminile del potere orizzontale e reticolare da esercitare insieme alle altre e agli altri (il futuro motto Noi siamo tempesta) versus il potere gerarchico modellato da logiche prettamente maschili.

La tenuta democratica del nostro Paese colta attraverso le parole che generano modi di agire e di vivere nella consapevolezza che chi controlla le parole, chi controlla la narrazione controlla i comportamenti, è l’anima di un libro provocatorio di intelligenza acuta come Istruzioni per diventare fascisti del 2018. Con il discutissimo e scanzonato fascistometro finale che misura i progressi dell’adesione al fascismo di chi legge, il libro ha la forma di un manuale per il fascista che si annida piú o meno consapevolmente in ognuno di noi nel momento in cui si accettano slittamenti espressivi e semantici, e cioè che la parola capo (colui che ordina la direzione e in cui identificarsi) sostituisca la parola leader (colui che ispira e indica la direzione e che emana dal popolo), che la parola nemico (minaccia non identificata o identificata con intere categorie deformate) sostituisca la parola avversario (figura riconosciuta come parte fisiologica della dinamica democratica), la parola populista sostituisca la parola popolare, e cosí via verso una deriva di paura, di vittimismo, di ricerca dell’uomo forte che guidi e protegga il suo popolo…

Ormai siete dappertutto, Brava e pure mamma!, Sei una donna con le palle, Io non sono maschilista… Ancora parole ed espressioni di uso comune, apparentemente innocue quanto pervasive scandiscono le pagine di Stai zitta del 2021, in cui Michela Murgia di fatto coglie la discriminazione di genere, il maschilismo, il sessismo, il paternalismo che domina nella nostra società in modo cosí connaturato da trovare appunto nel linguaggio piú ordinario la propria legittimazione. Perché «sottovalutare i nomi delle cose è l’errore peggiore di questo nostro tempo, che vive molte tragedie, ma soprattutto vive quella semantica, che è una tragedia etica… del comportamento umano in relazione ai concetti di bene e male… Sbagliare nome vuol dire… non capire piú la differenza tra il bene che si vorrebbe e il male che si finisce a fare».

Il suo agire quotidiano – che è sempre un agire politico, calato nelle dinamiche della polis – Michela Murgia lo ha plasmato proprio sulla crescente consapevolezza che «il modo in cui nominiamo la realtà è anche quello in cui finiamo per abitarla». E lei non si è mai accontentata delle cose cosí come sono, delle parole cosí come vengono, del mondo cosí com’è, terribilmente ingiusto e mortificante di ogni bellezza che nel suo vocabolario è sinonimo di dignità, emancipazione, autodeterminazione, libertà da conseguire con una lotta costante che non si dà mai per vinta.