Virginia WoolfLe onde

Ester Armanino, scrittrice

Cavalcare «Le onde»

La prima volta che ho letto Le onde avrò avuto sedici anni. Piú che una lettura fondamentale per la mia formazione, considero questo libro un incontro eccezionale tra me e ciò che da quel momento in poi ho visualizzato come una Sorgente, ovvero il luogo da cui proviene molto di ciò che sono.

Nadia Fusini ha scritto che Le onde è un libro «che ha il tempo come materia e l’essere come struttura». A me piace anche definirlo come un libro sull’acqua, intesa come componente principale della nostra vita e del nostro pensiero (lo stream della coscienza). D’altra parte, si tratta anche di un’evidenza scientifica che ha ben sintetizzato Alan Fletcher: la persona che ami è per il 72.8% acqua.

La vita che Virginia Woolf rappresenta in Le onde è infatti allo stato liquido: c’è questo continuo infrangersi del nostro mare interiore contro la durezza della materia solida, delle cose che restano immutate nel mondo.

I sei personaggi della storia si relazionano tra loro e spesso non si comprendono, si amano e si odiano, si separano nel tentativo di scindersi e distinguersi come gocce, però poi inevitabilmente si cercano, hanno bisogno l’uno dell’altro, sia per trovare la forma del proprio essere – come l’acqua in un contenitore – sia per poter mescolare le proprie vicende di uomo o donna in un’unica soluzione, in una lotta condivisa. Bernard, Louis, Neville, Rohda, Jinny e Susan lottano infatti per non venire meno a quel patto – non di sangue ma d’acqua – stipulato nell’infanzia, e cioè di condividere ogni bene e ogni male della vita nell’amicizia, che è rappresentata dal settimo personaggio, il grande assente, l’amato e compianto Percival.

Ogni volta che rileggo Le onde, come a sedici anni vengo sopraffatta da quel travaso di sensazioni, pensieri ed emozioni, ma a differenza di allora riesco ad ammirarne piú consapevolmente l’impressionante architettura, a comprenderne sempre un po’ meglio la raffinata struttura. Sento di essere ritornata alla Sorgente. Cosí mi siedo su un masso e rimango in ascolto dell’acqua che sgorga. Metto a fuoco due cose. La prima è una certezza: non potrei vivere senza scrivere. La seconda è che per scrivere è necessario assecondare l’incontro-scontro tra due ritmi: quello piú grande che ci contiene ed è ciclico, imprevedibile, eterno, e che non può essere cambiato ma solo percepito; e quello del nostro sforzo individuale, misurabile e dispendioso, che possiamo scandire in modo personale, facendo la nostra parte.

«Fingiamo che la vita sia una sostanza solida, a forma di globo, che facciamo girare tra le dita. Fingiamo di poter ricavare una storia semplice e logica, in modo che quando un argomento è liquidato – per esempio l’amore – possiamo passare in buon ordine al prossimo».

Questo fingere è quel che fanno la scrittura e l’arte in genere: cercare di mettere ordine nel disordine, di trattenere qualcosa per definire un punto fermo, e dopo un altro ancora, cosí da farci sentire piú stabili. Ma è anche vero che liquidare certi argomenti è impossibile. Avremo sempre bisogno di ridiscuterli. I sei personaggi della Woolf sembrano averlo intuito, e cosí, per tutta la loro esistenza letteraria, preferiscono cavalcare l’onda invece che limitarsi a osservarla.

A volte quest’onda è l’amore, più spesso è l’amicizia, quel «globo di cristallo le cui pareti sono fatte di Percival». Qualunque cosa sia, la cavalcano finché arriva, per spogliarsi dei panni del personaggio e inevitabilmente, in modo pieno e reale, vivere.

Ester Armanino è autrice di Storia naturale di una famiglia e L’Arca.