Jules VerneIl giro del mondo in 80 giorni

Erika Diemoz (Torino)

Ambientato nel 1872 e pubblicato l’anno successivo in Francia, Il giro del mondo in 80 giorni è un romanzo d’avventura che narra la storia di Phileas Fogg, un nobile di Londra che, per una scommessa fatta con i soci dell’aristocratico Reform Club, parte dalla capitale britannica insieme al suo domestico francese Jean Passepartout per compiere il giro del mondo in 80 giorni: impresa mirabolante a fine Ottocento.

Avevo ricordi confusi di questo romanzo – composti di reminiscenze scolastiche mescolate a immagini del cartone animato trasmesso sulla televisione italiana negli anni Ottanta – quando, qualche mese fa, ho letto il libro. E da subito mi sono convinta di doverlo utilizzare per scopi didattici.

I protagonisti conquistano il lettore già dalle prime pagine: Fogg con il suo piglio aristocratico, maniaco dell’ordine e della puntualità, a tratti un’incarnazione dello spirito positivista; Passepartout con la sua allegra ingenuità viene ritratto da Verne non senza un pizzico di ironia. Il romanzo è un rapido susseguirsi di eventi, che prendono avvio a Londra e, passando per l’India e per la Cina, giungono negli Stati Uniti. A compiere il giro del mondo c’è anche un detective di Scotland Yard, di nome Fix, che insegue il nobile londinese perché convinto che sia l’autore di una rapina in banca. Ciascun paese attraversato da Fogg e Passepartout è descritto da Verne con competenza e ricchezza di dettagli. Molteplici sono le storie locali narrate dallo scrittore francese: dall’India sotto il dominio inglese alla Cina della dinastia Qing, dal regno Meiji del Giappone agli Stati Uniti d’America all’epoca delle guerre indiane. Mentre la descrizione dei mezzi di trasporto utilizzati dai protagonisti – treni e piroscafi – rappresenta un dettagliato affresco della seconda rivoluzione industriale. Jules Verne fa dire a un personaggio all’inizio del suo romanzo: «La terra è rimpicciolita, perché ora la si percorre dieci volte più in fretta di cento anni fa».

Così, all’inizio di quest’anno scolastico ai miei alunni di terza elementare ho annunciato che avremmo studiato gli ambienti naturali della Terra facendo il giro del mondo insieme al signor Fogg e al suo domestico Passepartout: il romanzo è diventato lo sfondo integratore di un progetto scolastico al crocevia di geografia e storia.

I risultati di questa sperimentazione didattica sono molto positivi. Il livello di motivazione allo studio dei miei studenti è aumentato. In effetti, che la letteratura possa giocare un ruolo fondamentale nei processi educativi è stato sottolineato da vari studiosi, tra cui un imminente psicologo dell’educazione, lo statunitense Jerome Bruner, il quale sostiene che i modelli narrativi vengono inconsciamente utilizzati per dar forma alle esperienze quotidiane, la letteratura offre mondi alternativi che aiutano ad attribuire un significato al mondo reale. Anche in Italia c’è stato chi ha segnalato l’importanza della narrativa e più in generale dell’immaginazione nel contesto scolastico. Mi riferisco in particolare a Gianni Rodari che merita qui di essere citato non soltanto perché egli è stato maestro elementare e ha scritto vari libri per l’infanzia, ma anche perché la sua Grammatica della fantasia è stata pubblicata da Einaudi nel 1973.

Attraverso la lettura del classico francese, che ha pungolato la loro intelligenza emotiva e creativa, i miei allievi si sono peraltro appassionati a temi altrimenti a rischio di diventare noiosi: un conto è studiare gli ambienti geografici della montagna e della pianura raffigurandosi gli spostamenti intrapresi sulle loro strade da due personaggi immaginari che i ragazzi hanno imparato a conoscere lezione dopo lezione; un altro conto è studiare gli stessi argomenti in maniera libresca e decontestualizzata.

Consiglio dunque il Giro del mondo in 80 giorni a chi, per dirla con Rodari, «crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo».

Erika Diemoz insegna alla scuola primaria Spinelli di Torino.