Giulio GuidorizziIo, Agamennone

Liceo Ludovico Ariosto, Ferrara
Classe: I G
Docente: Micaela Rinaldi

Riscritture del finale di Io, Agamennone

Era una sera magnifica. Il cielo immenso era cosparso di stelle lucenti. Soffiava un vento leggero e l’aria trasportava le anime buie e spente di tutti coloro che erano caduti in battaglia.

Era un giorno qualunque, ma la morte di mia figlia lo rendeva il giorno peggiore della mia vita. Da poco io e il possente Agamennone ci eravamo legati in matrimonio; la cerimonia si era svolta nel maestoso tempio di Apollo. Era presente tutta Micene, fuorché Clitemnestra la vendicatrice, la quale, anni or sono, risiedeva al palazzo reale a fianco di mio marito.

Dopo alcuni tempi dal matrimonio, rimasi incinta della nostra prima e unica figlia. Decidemmo di chiamarla Ippodamia, in onore della madre di Agamennone, bellissima, dagli occhi scuri e passo leggero. Ma su di lei gravava un cupo destino. Ippodamia cresceva bella, amata e invidiata da tutta Micene. Soprattutto dalla crudele Clitemnestra, la quale, prima della nascita della mia amata bambina, maledisse tutta la stirpe che sarebbe nata dall’unione tra me e il mio sposo. Raggiunta l’età di tredici anni, Ippodamia iniziò ad ammalarsi; provammo a curarla in tutti i modi e chiamammo i migliori dottori della città, ma invano. Continuammo a somministrarle le erbe curative e gli infusi consigliati dal medico Arcibalde. Ma io in fondo sapevo che non avrebbe funzionato.

Era una sera magnifica. Il cielo immenso era cosparso di stelle lucenti. Soffiava un vento leggero e l’aria trasportava le anime buie e spente di tutti coloro che erano caduti in battaglia.

Ippodamia non c’era piú. Mi era stata strappata da forze misteriose e cupe alle quali nemmeno gli dèi potevano sottrarsi. 

Prima di fuggire da Micene, Clitemnestra era riuscita a entrare nel palazzo, dove un tempo risiedeva, e ad avvelenare la giovane Ippodamia. I due sposi erano devastati. Nonostante la rabbia, il grande re cercò di consolare la moglie dicendole: «Cassandra cara, il mondo è ingiusto e anche gli dèi. Ogni persona prima o poi nella vita incontra l’ingiustizia del destino».

Elisa, Sara, Beatrice, Amina, Monica

 

Mentre Agamennone si apprestava a tornare in patria, molteplici pensieri gli invasero la mente. Avrebbe ottenuto la gloria? Sarebbe stato ancora accolto come un re? Ma soprattutto, Egisto l’avrebbe ancora amato?

Ah, che gioia gli pervadeva il corpo ogni volta che ripensava a quei momenti. Accadde per la prima volta quando ancora erano giovani; in pubblico fingevano di odiarsi, ma quando i loro sguardi s’incrociavano nel buio della notte, Afrodite si scatenava. Si ripromisero nell’ultimo loro incontro, prima della partenza di Agamennone, che si sarebbero amati ancora, una volta finita la guerra di Troia. Cosí purtroppo non fu.

Tornato in patria, il glorioso re scoprí la cruda verità: il suo caro amante Egisto frequentava spesso la moglie Clitemnestra. Era stata un’ancella, molto cara a sua madre, a rivelargli il misfatto. Infatti, appena Agamennone scese dalla nave, venne subito informato e credette a quelle parole. Offuscato dall’ira, si diresse alla reggia e sigillò nella camera la moglie, lasciandola lentamente perire in solitudine. Dopo di che, incontrò il traditore e gli chiese spiegazioni. Quest’ultimo, incapace di mentire, gli disse: «Oh Agamennone, mio grande re, Afrodite mi ha privato del senno e subito il mio cuore si è riempito di grande amore per lei; ma ora ti chiedo venia e che risparmi la mia vita». L’Atride rispose: «Oh, infimo traditore, le tue insulse parole non valgono nulla per me, pertanto non vivrai cosí a lungo da vedere il mio perdono». Cosí il pastore di popoli estrasse la spada e, con un colpo fatale, giustiziò Egisto.

Rimasto solo, il grande e potente Atride regnò aspramente sul regno di Micene, finché il suo destino si compí e la morte gli pose sul volto la maschera dorata, impedendogli di guardare ancora il mondo mortale.

Francesco, Riccardo, Matteo, Filippo

 

Dopo la lunga guerra di Troia, durata ben dieci anni, Agamennone ritorna vincitore in patria e si ricongiunge a sua moglie Clitemnestra. Tutta la popolazione festeggia la vittoria e il suo ritorno in patria. Tuttavia, per quanto possano durare i festeggiamenti, Agamennone è costretto alla fine a rivelare a sua moglie chi ha ucciso Ifigenia.

Agamennone con voce rattristata ma severa prende da parte Clitemnestra e le dice: «Tesoro, ho dovuto sacrificare nostra figlia per la patria». «Tutto avresti potuto ma non questo!» le risponde Clitemnestra, «Come hai potuto sacrificare nostra figlia, sangue del nostro sangue, per portare le tue navi alla vittoria?»

Nonostante le spiegazioni di Agamennone, Clitemnestra prova odio, rabbia, furore per il marito che ha sacrificato la figlia. Decide cosí di inserire nel suo vino un po’ di sonnifero per cercare di farlo cadere in un sonno profondo e ucciderlo. E cosí fa; ma lui, astuto, odora l’essenza aggiunta nel vino e scaraventando il calice a terra si infuria contro la moglie. Impugnano una spada e un lungo coltello e combattono fino allo sfinimento; c’è sangue dappertutto, non si danno tregua.

Zeus vedendo il loro litigio furioso, decide che non sono degni di governare la città e li punisce uccidendoli entrambi. Poi scolpisce la loro sagoma su un’enorme pietra nelle vicinanze della città, perché sia di esempio a tutti. Questa fu la fine dell’ultimo re di Micene.

Federico, Silvano, Riccardo, Pietro

 

Achille, un giorno come gli altri, giunse al tempio di Apollo nel cuore di Troia per incontrare Polissena, figlia minore di Priamo. Era ignaro di quello che stava per succedere: tutto questo lo stava facendo per amore. Ad attenderlo c’era Paride, pronto con il suo arco a vendicare il fratello maggiore; ma la destinazione della freccia venne mutata da Eros, che la trasformò in un’arma d’amore. La freccia prese il volo e colpí Achille nella scapola, facendo innamorare l’eroe del grande Agamennone, che si trovava a passare di lí. I due, insieme, riuscirono a espugnare la grande città di Troia.

Dopo essersi divisi il bottino ciascuno tornò in patria, tranne il piè veloce, che inseguí il suo grande amore a sua insaputa. Arrivò a Micene, pronto a dichiararsi ad Agamennone. Raccolse un fiore davanti al palazzo come tributo ed entrò, ma qualcosa attirò improvvisamente la sua attenzione: sembravano urla provenire da una sala remota. Buttò il fiore a terra, sfoderò la sua maestosa spada e corse nella sala del trono. Lí trovò i compagni di Agamennone stupiti per la sua presenza, ma lui non c’era. Altri rumori lontani arrivavano al suo orecchio, cosí corse in quella direzione. Giunse in una camera e trovò Clitemnestra con in mano una scure. Il suo amore era spoglio delle vesti all’interno della vasca da bagno inconsapevole di quello che era accaduto e ormai esangue. Achille, lentamente, si diresse verso Clitemnestra e la colpí alle spalle dritto al cuore con la sua spada. Agamennone si  girò, vide l’incredibile Achille e all’istante fu travolto da una luce: abbandonò le spoglie mortali con negli occhi l’immagine del Pelide in lacrime.

Caterina, Marco, Bianca, Giovanni, Francesca

 

Mentre Agamennone tornava a casa, Clitemnestra si preparava per la sua vendetta. La regina di Micene ordinò di mettere una pentola piena d‘acqua sul fuoco; quando Agamennone sarebbe arrivato lei gli avrebbe tirato addosso l’acqua bollente per provocargli un grande dolore come quello da lei provato per la morte della figlia. Di certo una pentola d’acqua bollente non era una delle armi migliori attraverso le quali Agamennone poteva pensare di morire dopo essere tornato vittorioso da una guerra durata dieci anni. Il re miceneo aveva ben altri progetti, come tornare a guidare il suo popolo e banchettare assieme alla moglie raccontando le nobili gesta da lui compiute sotto le mura di Troia. Neanche Cassandra era stata in grado di prevedere tale mossa da parte di Clitemnestra: la sacerdotessa di Apollo sapeva solo che Agamennone sarebbe morto, ma non come e per mano di chi.

Tornato in patria Agamennone venne applaudito e glorificato dal suo popolo, rincontrò sua moglie e si preparò per il banchetto e i festeggiamenti. Durante il simposio Clitemnestra andò a prendere la pentola senza farsi scoprire. Ma la sorte che nemmeno gli dèi riescono a prevedere aveva in mente un altro piano: la pentola le cadde miseramente su un piede. Non sappiamo cosa disse Clitemnestra in quel momento, probabilmente Omero ha deciso di non narrare le sue parole per timore delle divinità. Agamennone corse ad aiutare sua moglie pensando a un incidente; fu a quel punto che Cassandra capí che era arrivato il momento di vendicare il suo popolo: Apollo le diede una spada divina con la quale trafisse Agamennone. Clitemnestra seppur sorpresa dal gesto della troiana, ringraziò Cassandra per aver vendicato sua figlia e incoronò la sacerdotessa di Apollo come principessa di Micene.

Nicolò, Filippo, Mattia, Matteo