Donatella Di PietrantonioL’Arminuta

Liceo Genoino, Cava de’ Tirreni (SA)
Classe: V D
Docente: Annamaria Senatore

Sradicata da una vita di agi, strappata all’affetto familiare, smentita nelle convinzioni piú elementari. È la storia di una bambina tragicamente catapultata nella miseria che non è povertà: è una miseria che è sinonimo di mancanza, di solitudine e di abbandono.

«Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure».

L’incubo della tredicenne si manifesta nella sospensione tra due mondi, sconvolgente è la consapevolezza di non avere riferimenti nella vita che è costretta a lasciare, né in quella che è costretta a vivere.

È la tragedia del grembo: da un lato il grembo fisico che l’ha nutrita, ma soprattutto rigettata, dall’altro il grembo impalpabile dell’accoglienza negata. La bambina conosce la disperazione della solitudine: è ferma al centro di un ponte, incapace di muoversi verso alcuna delle due sponde, pietrificata nella realtà onirica e deformante; la rappresentazione emblematica dell’Urlo di Munch: una persona abbandonata e spogliata del proprio essere, con gli occhi sbarrati, intenti a scovare il proprio posto nel mondo e il corpo immobile nel grido agghiacciante e muto di una bambina a cui è stato chiesto di crescere troppo in fretta.

Per me L’Arminuta non è ritorno: non si ritorna alla spensierata vita fanciullesca, L’Arminuta è rinnovamento e maturazione, è ciò che ha permesso alla giovane protagonista di battere un sentiero nuovo, di plasmare ciò che le è mancato, ma, soprattutto, è maternità: alle figure sbiadite di due madri, si contrappone la concretezza di due madri nuove, di due sorelle che hanno scelto di accogliersi e di proteggersi, di nutrirsi con un cordone ombelicale d’indissolubile affetto.

L’avidità dell’amore mai ricevuto, nelle due ragazze si trasforma nel dono dell’amore reciproco, le differenze si annullano e i percorsi s’intrecciano. La paura e la diffidenza cedono, scontrandosi con il desiderio e la fiducia di una prospettiva di vita nuova: si affaccia un’alternativa alle due sponde, la possibilità di abbandonare quel ponte, assecondando la volontà dello «sguardo diluito in tutto quel blu», libere dalla paura di bagnarsi e d’esser «tirate dentro» dal vortice sconvolgente dell’ignoto.

Alla fine, tra le due sorelle, si genera un nuovo grembo, un grembo che è un abbraccio, un’immersione di due animi che si fondono in uno.

«Ci siamo fermate una di fronte all’altra, cosí sole e vicine, io immersa fino al petto e lei al collo».

Chiara Baldi