Nadia TerranovaAddio fantasmi

Silvia Vitucci (Roma)

Fare i conti con il fantasma di un’assenza è ancora piú difficile rispetto all’elaborazione di un lutto: «La morte è un punto fermo, mentre la scomparsa è la mancanza di un punto, di qualsiasi segno di interpunzione alla fine delle parole. Chi scompare ridisegna il tempo, e un circolo di ossessioni avvolge chi sopravvive».

La scomparsa a cui è sopravvissuta Ida, la protagonista quarantenne di Addio fantasmi, è quella di suo padre, professore di liceo che, quando lei aveva solo tredici anni, a causa di una profonda depressione ha scelto di scomparire nel nulla («scivolare via», scrive Terranova) senza lasciare tracce.

Questo evento, oltre a essere doloroso, è difficilmente confessabile per i sensi di colpa che ha ingenerato; proprio nel sentimento della vergogna Terranova ha identificato le radici della sua esigenza di scrivere e forse della stessa letteratura: «senza vergogna non c’è letteratura», scrive infatti nel bellissimo dialogo con Annie Ernaux raccolto da Anais Ginori nell’inserto Robinson del quotidiano «la Repubblica» (30 settembre 2018).

Per questo dolore cosí difficilmente confessabile, Ida a vent’anni ha sentito di dover abbandonare la Sicilia per trasferirsi a Roma e vivere lí la sua vita da adulta: si è resa conto di essere fatta «in ogni atomo, dell’aria della casa di Messina» e proprio per questo desidera abbandonarla, per cercare di essere libera.

Qui, consigliata dal suo futuro marito, Pietro, ha scelto di non fare l’insegnante di liceo come iniziamente aveva pensato, ma di scrivere storie («finte storie vere») per la radio: «Le vite degli altri, di alunni genitori e colleghi, mi avrebbero travolta e nel giro di poco mi sarei ritrovata succube e infelice. […] La folla delle aule e degli androni non mi avrebbe dato tregua, avrei invece dovuto cominciare a scrivere e mettere nelle mie storie il dolore che non sapeva stare altrove».

Ma la decisione della madre di svuotare la casa di Messina riporta Ida in Sicilia, dove si troverà ad affrontare i suoi fantasmi, in un dialogo con parti di sé che aveva tentato faticosamente di mettere a tacere. Ritroverà se stessa adolescente (Ernaux nel dialogo con Terranova ha evidenziato la potenza stilistica della scena del libro in cui Ida fa colazione in cucina e sente vicino a sé la presenza di un’adolescente di tredici anni: la persona vissuta senza avere la possibilità di elaborare il lutto della perdita di un genitore).

Ben diversa l’esperienza della morte dei nonni di Ida, raccontata nelle prime pagine del romanzo, attraverso un’appassionata descrizione delle tradizioni legate al culto dei morti a Messina: «La coppia di anziani tornava a visitarci la notte tra il 1° e il 2 novembre, quando preparavo il pane e il latte sulla tavola e la mattina dopo trovavo il latte mezzo bevuto e il pane mezzo mangiato, una busta con una banconota, i dolci di mandorla a forma di ossa di morto, duri e immacolati, che rosicchiavo facendomi male ai denti, la frutta marturana che invece restava intatta, perché era dolce fino alla nausea e bastava guardarne la perfezione per saziarsi: scolpita e colorata a forma di fico d’india, di grappolo d’uva, di fetta d’anguria. Che fosse mia madre a indossare i panni dei morti e recitare la finzione non importava, non rendeva meno veritiero quel passaggio notturno. Cosí era la morte come l’avevo conosciuta fino ai tredici anni: una linea retta e cieca che aveva a che fare con l’eredità e l’ineluttabilità del tempo, un luogo in cui le persone non tornano se non un giorno all’anno per una festa, un evento disgraziato ma in fondo fertile».

Esperienze radicalmente diverse, per chi resta, la scomparsa e la morte.

Silvia Vitucci insegna Lettere al liceo Nomentano di Roma.