Christian RaimoTutti i banchi sono uguali

Silvia Vitucci (Roma)

Il lucido e documentato saggio di Christian Raimo sull’incapacità della scuola italiana di contrastare disuguaglianze sociali, Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’èappare una lettura imprescindibile per un insegnante e per chiunque abbia a cuore la riflessione sulla scuola.

Raimo, scrittore e insegnante, esprime le sue considerazioni sulle limitate capacità della scuola italiana di promuovere l’uguaglianza, dimostrando che purtroppo quest’ultima non riesce ancora a dare piena realizzazione al suo mandato costituzionale: l’articolo 3 della Costituzione (è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana) continua a rimanere, almeno in parte, lettera morta, oggi come ai tempi della scuola criticata da don Milani nel 1967.

L’autore analizza la correlazione statistica tra l’abbandono scolastico e il titolo di studio della famiglia di appartenenza, notando che in Italia il 53% di chi non ha genitori laureati non raggiunge il diploma di scuola superiore e la probabilità di laurearsi per chi proviene da un background familiare svantaggiato è piuttosto bassa. Raimo esamina le ragioni che rendono cosí spesso il nostro sistema scolastico incapace di produrre uguaglianza, distinguendo tra quelle che scaturiscono dal percorso scolastico in sé (quest’ultimo prevede una differenziazione troppo precoce: le carriere scolastiche di chi va al liceo si separano precocemente da quelle di coloro che scelgono un professionale e le disuguaglianze si accentuano) e quelle che attengono a fattori extra-scolastici, come la sempre maggiore disparità sociale tra centro e periferie.

In questo contesto di riproduzione di disuguaglianze un ruolo non indifferente è svolto da quella che Raimo definisce «l’enorme galassia delle ripetizioni private», presentata con grande onestà intellettuale come una «camera di compensazione o anticamera della dispersione scolastica»: purtroppo è estremamente diffuso il punto di vista di chi crede che i soldi spesi per le ripetizioni facciano «parte del budget preventivato annuale, come quello per il cibo, i vestiti e le visite mediche» (da un’intervista di Raimo al padre di due ragazze, di cui una al primo anno del liceo di scienze umane, un’altra appena maturata); l’idea condivisa è che le carenze del sistema scolastico siano strutturali e da ciò scaturirebbe la presunta necessità delle ripetizioni, che non appaiono come un’eccezione ma parte integrante del sistema scolastico stesso.

Tra i correttivi proposti da Raimo per dare maggiore spazio alle esigenze degli alunni piú svantaggiati, compare un uso diverso della valutazione rispetto a quello tradizionale, che sia volto a motivare il ragazzo piú che a limitarsi a fornirgli una fotografia dello stato raggiunto (chiariamo subito che tale uso non viene presentato come una costante, ma come una scelta consapevole da parte del docente da effettuarsi in alcuni momenti cruciali): l’autore di Tutti i banchi sono uguali, riprendendo le proposte pedagogiche di Albert Bandura, suggerisce la possibilità di usare, in alcune occasioni, i voti come leve per far ottenere agli alunni performance migliori piuttosto che come risultati: in questo modo lo strumento della valutazione verrebbe dunque adoperato per modificare e migliorare «l’autoefficacia» del ragazzo (Bandura).

Tale uso della valutazione potrebbe aiutare a immaginare una civiltà diversa, nella quale «l’ultima cosa a cui si educa è la paura di venire colpiti» e ciò potrebbe concorrere nel riportare all’interno dell’istruzione una prospettiva diacronica (volta, ad esempio, anche a far immaginare una società diversa da quella attuale), prospettiva a cui siamo stati disabituati da quella sincronica sottesa all’ormai imperante didattica per competenze, caratterizzata esclusivamente dalla volontà di far inserire i ragazzi nella società, dando loro strumenti che li rendano piú flessibili, in linea con i mutamenti del mercato del lavoro.

In questo modo, nota Raimo, viene dato per scontato l’attuale modello di sviluppo sociale, mentre l’unica riparazione possibile delle disuguaglianze forse è legata proprio alla messa in discussione di quel sistema che crea disuguaglianze: come scrive Laffi, «in sostanza il sistema di opportunità attuale non dà nessuna possibilità ai giovani di realizzare quello che chiedono di piú, cioè trasformare la realtà in cui sono, e lascia in loro un gran senso di vuoto, di inutilità personale, perché i giovani non sono previsti» (dall’intervista di Karl-Ludwig Schibel a Stefano Laffi citata da Raimo, il cui testo integrale si può leggere qui https://toblachconference.wordpress.com/2014/07/28/326/).

Tutti i banchi sono uguali fornisce dunque un valido contributo alla riflessione sulla genesi di una grave mancanza del nostro tessuto educativo e civile, proponendo peraltro un’alternativa possibile, un altro sguardo rispetto a quello abituale sulla scuola e sulla società.

Silvia Vitucci insegna Lettere al liceo Nomentano di Roma.