Wu MingL’Armata dei Sonnambuli

Liceo Vittorio Emanuele II, Lanciano
Classe: II B
Docente: Antonella Festa

A cosa è dovuta la scelta di scrivere un romanzo utilizzando un patrimonio di leggende popolari nate intorno alla Rivoluzione francese e di cui sono rimaste poche tracce documentali?

A dire il vero, quelle che nel Quinto Atto del romanzo vengono presentate come leggende popolari sono nostre invenzioni. Quella parte del romanzo è scritta con la tecnica del mockumentary, cioè del «finto documentario», dove le fonti reali e quelle fittizie si fondono in un’amalgama indistinguibile. Come del resto accade, in altra forma, in tutto il libro. Bisogna tener conto che il Quinto Atto non è un apparato di note a pie’ di pagina che sta fuori dalla finzione romanzesca. Se avessimo voluto un apparato del genere, l’avremmo collocato fuori dalla storia che raccontiamo, in un’appendice, dopo la parola «fine». Invece abbiamo scelto di giocare con il lettore e di presentare i nostri personaggi come se avessero una vita indipendente dalla finzione narrativa (senza però farli uscire davvero da quella finzione). Tutti e quattro i protagonisti dell’Armata sono frutto d’invenzione, non esistono documenti su di loro, anche se ne esistono su individui come loro, e dunque hanno un certo livello di verosimiglianza. Una popolana, un’artista in cerca di fortuna, un medico della borghesia giacobina e un aristocratico. Ci sembravano le quattro angolature piú adatte a raccontare la Rivoluzione francese, ma volevamo che avessero alcune caratteristiche impossibili da trovare nei documenti: cosí ce li siamo costruiti.

Come vi siete mossi sul crinale tra verità storica e immaginazione?

Ci siamo mossi secondo il principio della radicale verosimiglianza. L’invenzione non entra in conflitto con le cronache storiche, tutt’al piú le completa o le interpreta. Il viaggio di uno dei protagonisti in Alvernia è del tutto inventato, e lo stesso vale per i casi che si trova ad affrontare, ma all’interno delle dinamiche generali di quello scenario storico-geografico gli eventi che raccontiamo non sono inverosimili. Come non sono inverosimili i vari personaggi che muoviamo sullo scenario parigino.

Ogni personaggio sembra combattere la sua rivoluzione. Rivoluzione ci sembra essere una parola d’ordine del romanzo. Qual è l’innovazione rivoluzionaria de L’Armata dei Sonnambuli?

Se ogni personaggio porta avanti la propria rivoluzione esistenziale all’interno del grande sconvolgimento e innovamento sociale, anche sul piano letterario L’Armata rappresenta un cambiamento, per quanto riguarda la produzione narrativa di WM. Per almeno due motivi. Il primo è rappresentato dal Quinto Atto, laddove l’invenzione narrativa deborda nell’appendice documentale e apre a un genere ibrido. Quell’ultima parte del romanzo è lo spartiacque tra quello che abbiamo scritto fino a quel momento e quello che abbiamo scritto dopo, che non è piú stato lo stesso. Il secondo motivo è il ruolo della protagonista femminile, che per la prima volta in un romanzo collettivo di Wu Ming ha lo stesso peso sulla pagina e la stessa importanza dei protagonisti maschili. Anche questo è uno spartiacque.

Che rapporto intercorre tra Mesmerismo, masse, rivoluzione?

Il Mesmerismo si diffuse in Francia negli anni ’80 del Settecento, ma già prima della rivoluzione era stato screditato da una commissione medica nominata dal Re. Dopo l’89, venne messo al bando perché era considerata una terapia da aristocratici, dal momento che Mesmer operava nei salotti buoni di Parigi. In realtà, come spesso accade, il mesmerismo univa potenzialità diverse: da un lato, la sua proposta era molto democratica ed egualitaria, perché chiunque poteva diventare medico, prendersi cura degli altri e contribuire al livellamento verso l’alto della salute collettiva, in piena sintonia con gli ideali della Rivoluzione; dall’altra, però, si basava su una disparità di potere tra medico e paziente, che sempre esiste, in qualunque terapia, ma che nel mesmerismo veniva portata alle estreme conseguenze, perché il medico poteva controllare la volontà del malato, e infatti, non a caso, i pazienti erano sempre contadini o donne, mentre i medici erano nobili e comunque maschi.