Fabio GedaAnime scalze

IISS Salvemini, Alessano (LE)
Classe: V AL
Docente: Valeria Bisanti

In Anime scalze si capisce sin da subito che il tuo interesse è per Ercole, di cui non invadi mai gli spazi, non ne copri la voce, non lo metti nei guai per suscitare un interesse maggiore. Il protagonista, quindici anni, è un adolescente raro, che non si sporca e non scende a patti, non vuole omologarsi. Come nasce questa figura?

Ercole nasce dalla mia esperienza come educatore, dai ragazzi e dalle ragazze con cui ho lavorato in comunità alloggio per nove anni, dalla loro forza e dalle loro fragilità, dalle loro famiglie e dalle loro domande. Ne ho incontrati diversi simili a Ercole, ragazzi in cui si percepiva del bene e del bello, ma un bene e un bello spesso soffocati dalla sfiducia nei confronti degli adulti di riferimento, e quindi, per questo motivo, costretti a crescere da soli o affidandosi a figure genitoriali sghembe, come fratelli o sorelle.

A questo ragazzino la vita ha fatto mancare tanto ma gli ha anche donato una sorella, Asia, su cui poter contare. Sorprendenti e commoventi gli escamotage dei due fratelli per non farsi trovare e vedere dalle «persone di cuore» che mettono in luce come spesso il bene che gli altri vorrebbero per noi non è poi quello che i piú piccoli cercano. Quale il messaggio sotteso?

Se vogliamo trovare un messaggio potrebbe essere questo: se hai bisogno di aiuto, chiedi aiuto! Troppo spesso capita – anche noi adulti ci comportiamo cosí – che si preferisca restare dentro un dolore conosciuto che uscirne per andare incontro al mistero, mistero che sí, è vero, potrebbe riservarci altre difficoltà. Ma che possiamo farci? A volte per salvarsi si deve rischiare. Quindi ai ragazzi dico: se avete attorno adulti incapaci – e di adulti incapaci ce n’è parecchi, e di inaffidabili – ecco, dico: se avete attorno adulti cosí, cercatevene di capaci e di affidabili. Anche di quelli ce n’è un sacco. Bisogna cercarli e trovarli.

Il romanzo ha un incipit potente, folgorante, durissimo: in realtà l’immagine con cui il romanzo si apre e si chiude – un ragazzo armato e un bambino sul tetto di un capannone, circondati dalla polizia – si lega a una frase. Una semplice frase, che però è il cuore del romanzo, di questa avventura, e di ogni adolescenza: «Nella mia testa sono successe cose straordinarie». Da dove nasce questo incipit?

Non ricordo quando e dove è nata quella scena, ma so che da quella scena è nato tutto il romanzo. Mi girava in testa da anni: un adolescente armato di fucile che sale sul tetto di un capannone insieme a un bambino. E non per fare una strage o che so io, e neanche per difendere se stesso, ma per aiutare il bambino, per dare al bambino delle possibilità che a lui erano state negate. Mi sembrava un’immagine potente, esteticamente e simbolicamente. Capace di rappresentare con efficacia il dramma di quelle infanzie o di quelle adolescenze che per mancanza di occhi che le guardino e orecchie che le ascoltino a un certo punto si trasformano in grido. In urlo.

Leggendo il romanzo abbiamo avuto l’impressione che per te l’adolescenza è una riconquista, un luogo che va riguadagnato palmo a palmo. È davvero cosí?

La vita è una conquista, tutta, sempre. Passo dopo passo. A qualunque età. Il successo delle storie di formazione credo sia dovuto al fatto che chiunque può riconoscersi in quelle emozioni e in quelle esperienze, non soltanto per averle sperimentate da ragazzo, ma anche perché siamo costantemente attraversati da una tensione trasformativa che continua a interrogarci, sotto sotto, anche in quelle fasi della vita in cui pensiamo di non poter essere altro che uguali a noi stessi.

Ercole è un osservatore sottile di cose, situazioni e persone. Si lascia cadere sul sedile di un autobus a caso e va in giro per la città a osservare le persone, «la complessità degli uomini». Quanto di tuo c’è in questa sua abitudine?

Moltissimo. Non tanto nel gesto in sé – salire su un autobus e farsi trasportare – ma nel gironzolare per le città, nel mio caso soprattuto città straniere, amare osservare la gente, la vita. Sí. È una cosa molto mia.

Tu sei torinese, non ha mai ambientato una storia a Torino, ma per la prima volta in questo romanzo la città diventa quasi coprotagonista, alterni la descrizione di quartieri semiperiferici come Cenisia al centro storico di cui delinei strade, piazze, il fiume che borbotta, le colline, la Gran Madre. Che cosa è cambiato, hai superato una forma di paura?

Credo di sí. A lungo ho pensato che ambientare una storia nella mia città avrebbe soffocato il mio immaginario, che un luogo che conoscevo cosí bene mi avrebbe reso ossessivamente filologico. E invece con Anime scalze sono riuscito a rimappare la città sentimentalmente, e a renderla, in un certo senso, esotica ai miei stessi occhi. Sono contento del risultato. Credo, finalmente, di poterla usare nei miei romanzi.

In questo libro ci sono molti riferimenti alla pittura, a colori e disegni che materializzano le emozioni. Si intuisce che per te è importante l’aspetto visivo. Perché?

Chissà. Forse perché sono, anche se non di primo pelo, un figlio della società dell’immagine. O piú semplicemente perché davvero per me le immagini sono fondamentali. Adoro la fotografia, per esempio. A diciott’anni andavo a casa di un’amica che aveva una camera oscura in cantina a sviluppare foto in bianco e nero che facevamo in giro per la città. La mia mente ragiona per immagini. Per questo amo tanto scrivere: perché sono costretto a trasformarle in parole. Nei romanzi, con le parole, si scattano foto, si fa musica, si dipinge.

Anime scalze racconta diversi legami e relazioni che hanno a che fare soprattutto con i fratelli e i genitori, dove i ruoli sono mescolati e invertiti, laddove i fratelli si trovano a vestire i panni di adulti e i genitori quelli di ragazzini confusi e perduti. Fratelli e sorelle quasi sempre camminano accanto. Quanto è importante per te il gesto del camminare accanto?

Avete presente gli stormi di uccelli che disegnano in cielo geometrie sublimi, muovendosi come un unico organismo vivente? Ecco, sapete che non c’è una guida, un capo-uccello che dice: tutti a destra, tutti a sinistra? Sapete che loro si muovono cosí semplicemente perché ogni uccello è sintonizzato sul volo di quello piú vicino a lui? Questo è un modo di starsi accanto – di volarsi accanto – tipico dell’adolescenza. E io credo che ogni tanto anche noi adulti dovremmo smetterla di camminare un passo avanti o un passo indietro ai ragazzi, come spesso facciamo, per provare invece a camminare loro accanto. Sarebbe un bel mondo per rigiocarsi la relazione. Per reinventarla.

Un altro tema che ricorre nel romanzo è quello del talento: Ercole disegna per esorcizzare le sue paure, è bravo ma né la famiglia né la scuola lo aiutano a coltivare la sua vena artistica. Il talento è un hobby «sfoga pensieri». «Non tutti possono permettersi di avere cura dei propri talenti. È questa la verità». Lo dirà a Ercole sua madre, parlando della nonna del protagonista che, pur essendo molto brava, aveva smesso di dipingere, assorbita dai suoi doveri. C’è un modo per sfuggire al dovuto che schiaccia il voluto?

Credo che l’unica via di fuga sia conoscere bene se stessi e avere fiducia nelle proprie qualità. Trovare quell’equilibrio che permette di vivere con un piede nel sogno e uno nella realtà. Diceva Camus: «Esiste la bellezza ed esiste l’inferno degli oppressi, per quanto possibile vorrei rimanere fedele a entrambi». Ecco, saper restare fedeli alla propria bellezza e ai propri talenti contrattando tutti i giorni con la vita, con la propria storia personale, che alle volte capita che opprima e che imponga certe priorità. Non è facile. Ma ha senso tentare.